ABBRACCIO AL TIBET - La giornata sul Tibet organizzata a Sesto Fiorentino il 9 giugno ha avuto un successo inaspettato. La sala era gremita di persone che hanno seguito con molta attenzione il bellissimo video "Impermanence" di Ghotam Gose sul Dalai Lama e poi il dibattito con Claudio Cardelli, presidente dell'Associazione Italia-Tibet, il sottoscritto e l'Assessore del Comune di Sesto Massimo Rollino. Molto gradita la presenza della sig.ra Maraini. A far da sfondo la mostra fotografica "Abbraccio al Tibet" delle foto scattate in Tibet dal sottoscritto nel 2007. Molto suggestive le campane tibetane offerte da Enrico Cheli. Organizzazione di Laura Faucci e Associazione Ajna.
Il Tibet ha bisogno di questi momenti, la situazione del paese delle nevi è drammatica (vedi altri post del blog), i cinesi vanno avanti nel loro progetto di "rinnovamento" (e distruzione) nel disinteresse generale del mondo. Salvaguardare la cultura ed il popolo tibetano vuol dire preservare la cultura, la storia, la spiritualità e la biodiversità del pianeta.
domenica 4 agosto 2013
domenica 26 maggio 2013
Abbraccio al Tibet
Riporto la simpatica descrizione fatta da Laura su come è nata l'idea di questo evento che mi vede coinvolto in prima persona.
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Durante il viaggio che ci conduceva a casa dell’amica Laura nel Mugello per trascorrere un capodanno davvero speciale, condividemmo con l’amico Fabio, le sue preziose esperienze di mostre fotografiche realizzate più volte a Firenze a seguito del suo bel viaggio in Tibet.
Così maturò in me il desiderio e la volontà di occuparmi dell’organizzazione di un altro evento simile, mettendo in gioco e a servizio questa mia qualifica svolta ampiamente negli anni di lavoro ai vari Teatri di Livorno e per passione e che potesse manifestare concretamente, insieme ad un sapore culturale, un atto solidale e un momento di piacevole aggregazione sociale. Quindi una serie di eventi sincronici, non affatto casuali: il coinvolgimento di un’associazione culturale di sesto, dove un amica socia ha viaggiato ed amato il Tibet, la riunione dell’Associazione Italia/Tibet al Centro Ewam, dove a febbraio partecipammo con Fabio, da lì il mio contatto con il Presidente dell’Associazione e il suo SI, per noi graditissimo, della Sua presenza e intervento all’evento. E poi il contatto con Paolo del Centro Ewam ( che però forse ha impegni improrogabili di lavoro), il SI dell’Assessore alla Cultura di SestoIdee, il SI del terapista Enrico Cheli, cui lo stesso Fabio conobbe, partecipando con piacere ad un suo evento, e il mio incontro con Sithar, un amico tibetano, bravissimo in cucina! Insomma, tutta la nostra energia del NOI e quella della “vita consenziente” si è direzionata, come un dolce vento caldo, verso la realizzazione, a breve, di questa giornata: un piccolo gesto di solidarietà verso questo popolo oppresso da così tanti anni, impregnato di una cultura incredibilmente affascinante e antichissima, al quale dedichiamo con gioia e speriamo con sentita partecipazione, questo nostro comune impegno. (Laura Faucci)
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sabato 25 maggio 2013
Sette giorni in Tibet: video report da Lhasa
(dal sito dell' Associazione Italia-Tibet)
22 maggio 2013. Entrato in Tibet con un visto di sette giorni, Cyril Payen, corrispondente dell’emittente francese France 24, è recentemente riuscito ad arrivare a Lhasa e a documentare in un breve filmato alcuni momenti della vita di tutti i giorni nella capitale tibetana e a scambiare alcune battute con due tibetani. Alcune immagini mostrano l’area attorno al Barkhor e i lavori in corso per la realizzazione del centro commerciale. Proponiamo ai lettori, assieme al video, la traduzione dell’audio del filmato.
Il filmato, della durata di circa quattro minuti, al sito di France 24 (link esterno clicca qui):
L’audio:
Otto mesi per ottenere il visto e quarantotto ore di treno: questo è il tempo che ci è voluto per entrare in Tibet. Viaggiando per 3600 chilometri, a un’altezza di 4000 metri, abbiamo raggiunto Lhasa assieme ai 2500 turisti e migranti cinesi che ogni giorno entrano nella città degli dei. Dalla rivolta del 2008, le autorità cinesi hanno imposto a Lhasa severe limitazioni all’ingresso dei turisti stranieri, i giornalisti sono messi al bando. Quando arrivi a Lhasa è come entrare in un mondo di sorveglianza Orwelliana, come in una città sotto occupazione, con migliaia di militari, le telecamere della CCTV, le ispezioni di polizia, le perquisizioni. Questa è la vita di tutti i giorni per i tibetani. Nonostante i gravi rischi, due attivisti tibetani hanno accettato di incontrarmi in un mercato affollato per qualche scambio di battute.
Payen, rivolto a una tibetana: Pensi di avere libertà qui?
Risposta: No, no, oggi non abbiamo né libertà né diritti umani. Credo nel Buddismo, considero il Dalai Lama come il nostro sole, ma non possiamo dirlo perché se lo diciamo saremo messi in carcere.
In prigione o fuori, ci si chiede se questo possa fare la differenza per questi tibetani e per un’antica cultura nel cuore dell’Himalaya. Questo luogo (cammina nell’area del Barkhor) è uno dei più sacri del Tibet, è il cuore spirituale del paese, il monastero del Jokhang. Per secoli i pellegrini si sono riuniti qui. Adesso il governo cinese sta costruendo in quest’area un centro commerciale completato da un parcheggio sotterraneo. Fu qui che un anno fa, per la prima volta nella capitale, due ex monaci si dettero fuoco come estremo atto di resistenza. Negli ultimi tre anni in Tibet ci sono state 127 immolazioni, tutte in segno di protesta contro la politica cinese.
Il sacro è ovunque in Tibet e i monaci, nella società, sono considerati le massime autorità. Ed è per questo che sono nel mirino del governo cinese che vorrebbe confinarli in un ruolo puramente di facciata.
Payen, rivolto a un tibetano: Cosa pensi dei cambiamenti a Lhasa?
Risposta: Non è consigliabile andare in giro, dimostrare, ci sono molti controlli e perquisizioni.
Cinquant’anni fa i monaci costituivano il 30% della popolazione maschile tibetana, oggi sono soltanto 30.000.
Un monaco tibetano: Tutto ciò che vogliono è portare i turisti cinesi nei nostri templi e il danaro è per il governo, non per i tibetani.
Oltre al proposito di raggiungere, entro l’anno, il numero di dieci milioni di turisti, la Cina ha altre nascoste ambizioni riguardo al Tibet. Ambizioni più cinesi che tibetane che prevedono l’arrivo di decine di migliaia di migranti da tutta la Cina.
Un cinese: Ho lavorato a Lhasa per tre anni, nel settore delle costruzioni…
Payen: E perché sei qui, nel tempio?
Cinese: Non si può mai dire…
E’ difficile prevedere cosa sarà il Tibet tra dieci anni dal momento che subisce una dura repressione, l’assimilazione culturale e l’occupazione militare. L’unica certezza è che il Tibet è l’ombra di quello che era una volta.
Segue un’intervista a Nicholas Baquelin, rappresentante di Human Rights Watch a Hong Kong, della quale diamo un breve riassunto.
Rispondendo alle domande rivoltegli dallo studio, Baquelin afferma che, dopo le manifestazioni pacifiche dei tibetani, la Cina vuole sradicare totalmente ogni supporto al Dalai Lama. Oggi i tibetani si trovano a dover affrontare questo problema: subire la repressione per raggiungere uno scopo altamente improbabile. Ora i cinesi, piuttosto che sradicarla, stanno cercando di rimodellare la cultura tibetana in modo da renderla inoffensiva per lo stato. Del resto, anche alcuni tibetani desiderano la modernizzazione del paese, ma è un equilibrio difficile da stabilire, la cultura tradizionale è sul punto di essere annientata. Americani e francesi hanno cercato di modernizzare il Vietnam e l’Algeria e gli stessi cinesi stanno investendo molto denaro in Tibet. Ma i tibetani vogliono la libertà, non solo il progresso economico. Tra le nazioni europee vi è un’assoluta mancanza di coordinamento circa il problema del Tibet. Sarkosy e la Merkel hanno in contrato il Dalai Lama ma lo hanno fatto dietro pressioni sia interne sia internazionali e per il governo cinese è stato facile porre in atto una sorte di ricatto nei loro confronti. Sarebbe necessario un coordinamento tra gli stati europei. Ovviamente nessun governo vuole che gli sia detto chi deve o non deve incontrare e, d’altro canto, è impossibile affrontare in modo razionale con la Cina il problema del Tibet. Non resta che caldeggiare un dialogo diretto tra la Cina e i tibetani.
(Fonte: France24.com)
22 maggio 2013. Entrato in Tibet con un visto di sette giorni, Cyril Payen, corrispondente dell’emittente francese France 24, è recentemente riuscito ad arrivare a Lhasa e a documentare in un breve filmato alcuni momenti della vita di tutti i giorni nella capitale tibetana e a scambiare alcune battute con due tibetani. Alcune immagini mostrano l’area attorno al Barkhor e i lavori in corso per la realizzazione del centro commerciale. Proponiamo ai lettori, assieme al video, la traduzione dell’audio del filmato.
Il filmato, della durata di circa quattro minuti, al sito di France 24 (link esterno clicca qui):
L’audio:
Otto mesi per ottenere il visto e quarantotto ore di treno: questo è il tempo che ci è voluto per entrare in Tibet. Viaggiando per 3600 chilometri, a un’altezza di 4000 metri, abbiamo raggiunto Lhasa assieme ai 2500 turisti e migranti cinesi che ogni giorno entrano nella città degli dei. Dalla rivolta del 2008, le autorità cinesi hanno imposto a Lhasa severe limitazioni all’ingresso dei turisti stranieri, i giornalisti sono messi al bando. Quando arrivi a Lhasa è come entrare in un mondo di sorveglianza Orwelliana, come in una città sotto occupazione, con migliaia di militari, le telecamere della CCTV, le ispezioni di polizia, le perquisizioni. Questa è la vita di tutti i giorni per i tibetani. Nonostante i gravi rischi, due attivisti tibetani hanno accettato di incontrarmi in un mercato affollato per qualche scambio di battute.
Payen, rivolto a una tibetana: Pensi di avere libertà qui?
Risposta: No, no, oggi non abbiamo né libertà né diritti umani. Credo nel Buddismo, considero il Dalai Lama come il nostro sole, ma non possiamo dirlo perché se lo diciamo saremo messi in carcere.
In prigione o fuori, ci si chiede se questo possa fare la differenza per questi tibetani e per un’antica cultura nel cuore dell’Himalaya. Questo luogo (cammina nell’area del Barkhor) è uno dei più sacri del Tibet, è il cuore spirituale del paese, il monastero del Jokhang. Per secoli i pellegrini si sono riuniti qui. Adesso il governo cinese sta costruendo in quest’area un centro commerciale completato da un parcheggio sotterraneo. Fu qui che un anno fa, per la prima volta nella capitale, due ex monaci si dettero fuoco come estremo atto di resistenza. Negli ultimi tre anni in Tibet ci sono state 127 immolazioni, tutte in segno di protesta contro la politica cinese.
Il sacro è ovunque in Tibet e i monaci, nella società, sono considerati le massime autorità. Ed è per questo che sono nel mirino del governo cinese che vorrebbe confinarli in un ruolo puramente di facciata.
Payen, rivolto a un tibetano: Cosa pensi dei cambiamenti a Lhasa?
Risposta: Non è consigliabile andare in giro, dimostrare, ci sono molti controlli e perquisizioni.
Cinquant’anni fa i monaci costituivano il 30% della popolazione maschile tibetana, oggi sono soltanto 30.000.
Un monaco tibetano: Tutto ciò che vogliono è portare i turisti cinesi nei nostri templi e il danaro è per il governo, non per i tibetani.
Oltre al proposito di raggiungere, entro l’anno, il numero di dieci milioni di turisti, la Cina ha altre nascoste ambizioni riguardo al Tibet. Ambizioni più cinesi che tibetane che prevedono l’arrivo di decine di migliaia di migranti da tutta la Cina.
Un cinese: Ho lavorato a Lhasa per tre anni, nel settore delle costruzioni…
Payen: E perché sei qui, nel tempio?
Cinese: Non si può mai dire…
E’ difficile prevedere cosa sarà il Tibet tra dieci anni dal momento che subisce una dura repressione, l’assimilazione culturale e l’occupazione militare. L’unica certezza è che il Tibet è l’ombra di quello che era una volta.
Segue un’intervista a Nicholas Baquelin, rappresentante di Human Rights Watch a Hong Kong, della quale diamo un breve riassunto.
Rispondendo alle domande rivoltegli dallo studio, Baquelin afferma che, dopo le manifestazioni pacifiche dei tibetani, la Cina vuole sradicare totalmente ogni supporto al Dalai Lama. Oggi i tibetani si trovano a dover affrontare questo problema: subire la repressione per raggiungere uno scopo altamente improbabile. Ora i cinesi, piuttosto che sradicarla, stanno cercando di rimodellare la cultura tibetana in modo da renderla inoffensiva per lo stato. Del resto, anche alcuni tibetani desiderano la modernizzazione del paese, ma è un equilibrio difficile da stabilire, la cultura tradizionale è sul punto di essere annientata. Americani e francesi hanno cercato di modernizzare il Vietnam e l’Algeria e gli stessi cinesi stanno investendo molto denaro in Tibet. Ma i tibetani vogliono la libertà, non solo il progresso economico. Tra le nazioni europee vi è un’assoluta mancanza di coordinamento circa il problema del Tibet. Sarkosy e la Merkel hanno in contrato il Dalai Lama ma lo hanno fatto dietro pressioni sia interne sia internazionali e per il governo cinese è stato facile porre in atto una sorte di ricatto nei loro confronti. Sarebbe necessario un coordinamento tra gli stati europei. Ovviamente nessun governo vuole che gli sia detto chi deve o non deve incontrare e, d’altro canto, è impossibile affrontare in modo razionale con la Cina il problema del Tibet. Non resta che caldeggiare un dialogo diretto tra la Cina e i tibetani.
(Fonte: France24.com)
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venerdì 24 maggio 2013
La distruzione di Lhasa
“FERMIAMO LA DISTRUZIONE DI LHASA”: LA TESTIMONIANZA E L’APPELLO DELLA SCRITTRICE TIBETANA WOESER.
13 maggio 2013. Secondo quanto previsto da un nuovo piano regolatore approvato dalle autorità cinesi, quello che resta delle tradizionali abitazioni tibetane della città di Lhasa sarà demolito per fare posto a un grande centro commerciale destinato a trasformare l’antica capitale del Tibet in una città turistica simile a Lijiang, lo “Shangri-La” della provincia dello Yunnan. Il progetto, già in fase di realizzazione (nelle foto) prevede la distruzione dell’area attorno al tempio del Jokhang e a quello di Ramoche.
Da Pechino, dove attualmente risiede, la scrittrice e blogger tibetana Woeser ha lanciato all’UNESCO e alle istituzioni di tutto il mondo un disperato appello affinché Lhasa sia risparmiata da una “spaventosa modernizzazione”, “un imperdonabile e incalcolabile crimine contro l’antica città, la cultura umana e l’ambiente”. In una petizione pubblicata su Wiebo, la rete cinese, all’inizio del corrente mese e prontamente censurata dalle autorità, la scrittrice ha denunciato il progetto della costruzione di un centro commerciale nel cuore della città vecchia, progetto che comporterebbe la totale distruzione dell’area del Barkhor, attorno al più sacro dei templi di Lhasa, il Jokhang. Una volta completato, il “Barkhor Shopping Mall” coprirà un’area di 150.000 metri quadrati e sarà in grado di ospitare, nel suo parcheggio sotterraneo, oltre 1000 automobili. I venditori ambulanti troveranno posto all’interno del centro commerciale e gli abitanti dei quartieri demoliti saranno trasferiti nella contea di Toluing Dechen, alla periferia occidentale di Lhasa. Se accetteranno la nuova sistemazione in tempi brevi, saranno risarciti con un compenso in danaro tra i 20.000 e 30.000 remibi.
Nel suo appello, Woeser afferma che la distruzione di Lhasa, le cui parti più antiche risalgono al VII secolo, coinvolgerà anche altre zone della città vecchia, compresa l’area di fronte al tempio di Ramoche dove saranno aperte ampie piazze. “La Città Vecchia non sarà più la stessa”, dice Woeser, “le sue strade non vedranno più i pellegrini compiere le circumambulazioni, le prostrazioni e accendere le lampade a burro”. E tutto questo non solo per motivi puramente economici: considerando attentamente il progetto, si nota l’intenzione sia di distruggere ciò che resta della vecchia Lhasa sia di evacuare completamente i venditori ambulanti dalle strade del Barkhor. La scrittrice tibetana nota che uno sconvolgimento urbanistico del tutto simile è già stato attuato in due altre città: Lijiang, nello Yunnan e Hunan, trasformate dalle autorità cinesi in moderne città turistiche. Dopo la ricostruzione, Lijiang è stata ribattezzata “Shangri-La” allo scopo di attrarre il maggior numero di turisti in un’operazione che Woeser definisce di “turismo coloniale”.
Nella lettera “La nostra Lhasa è sull’orlo della distruzione, salvate Lhasa!”indirizzata all’UNESCO e a tutte le maggiori organizzazioni mondiali a difesa dell’ambiente, Woeser chiede di fermare il disastroso progetto cinese e dalla minaccia senza precedenti che in questo momento grava sulla città. La traduzione in lingua inglese dell’appello al sito:
(Fonti: Phayul – Tibet Post)
FIRMA QUI L'APPELLO
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A sentire queste notizie mi piange il cuore. Sono stato a Lhasa 6 anni fa ed il Barkhor era l'unico quartiere dove ancora si respirava aria tibetana. Il Jokhang è il cuore del Buddismo tibetano ed è circondato dall'anello percorso incessantemente dai pellegrini tibetani, con tutte le bancarelle piene di oggetti più o meno utili, dove ho comprato un mulino di preghiere. Mi ricordo che il venditore mi ha regalato la rotellina di ricambio per quando mi si consumava quella in dotazione. Ai tibetani stanno togliendo la loro terra, la religione, le tradizioni, la vita che sono un patrimonio dell'umanità intera. E' una storia millenaria, un angolo del pianeta unico e irripetibile. E' ovvio che non è un problema di modernità; chi è stato a Lhasa sa benissimo che non ci sono problemi di traffico o parcheggio e che non è necessario costruire un centro commerciale nel cuore storico della città. So che niente e nessuno riuscirà a fermare il governo cinese dai loro intenti e questo mi riempie di tristezza.
Pubblico due foto scattate a Lhasa nel 2007.
13 maggio 2013. Secondo quanto previsto da un nuovo piano regolatore approvato dalle autorità cinesi, quello che resta delle tradizionali abitazioni tibetane della città di Lhasa sarà demolito per fare posto a un grande centro commerciale destinato a trasformare l’antica capitale del Tibet in una città turistica simile a Lijiang, lo “Shangri-La” della provincia dello Yunnan. Il progetto, già in fase di realizzazione (nelle foto) prevede la distruzione dell’area attorno al tempio del Jokhang e a quello di Ramoche.
Da Pechino, dove attualmente risiede, la scrittrice e blogger tibetana Woeser ha lanciato all’UNESCO e alle istituzioni di tutto il mondo un disperato appello affinché Lhasa sia risparmiata da una “spaventosa modernizzazione”, “un imperdonabile e incalcolabile crimine contro l’antica città, la cultura umana e l’ambiente”. In una petizione pubblicata su Wiebo, la rete cinese, all’inizio del corrente mese e prontamente censurata dalle autorità, la scrittrice ha denunciato il progetto della costruzione di un centro commerciale nel cuore della città vecchia, progetto che comporterebbe la totale distruzione dell’area del Barkhor, attorno al più sacro dei templi di Lhasa, il Jokhang. Una volta completato, il “Barkhor Shopping Mall” coprirà un’area di 150.000 metri quadrati e sarà in grado di ospitare, nel suo parcheggio sotterraneo, oltre 1000 automobili. I venditori ambulanti troveranno posto all’interno del centro commerciale e gli abitanti dei quartieri demoliti saranno trasferiti nella contea di Toluing Dechen, alla periferia occidentale di Lhasa. Se accetteranno la nuova sistemazione in tempi brevi, saranno risarciti con un compenso in danaro tra i 20.000 e 30.000 remibi.
Nel suo appello, Woeser afferma che la distruzione di Lhasa, le cui parti più antiche risalgono al VII secolo, coinvolgerà anche altre zone della città vecchia, compresa l’area di fronte al tempio di Ramoche dove saranno aperte ampie piazze. “La Città Vecchia non sarà più la stessa”, dice Woeser, “le sue strade non vedranno più i pellegrini compiere le circumambulazioni, le prostrazioni e accendere le lampade a burro”. E tutto questo non solo per motivi puramente economici: considerando attentamente il progetto, si nota l’intenzione sia di distruggere ciò che resta della vecchia Lhasa sia di evacuare completamente i venditori ambulanti dalle strade del Barkhor. La scrittrice tibetana nota che uno sconvolgimento urbanistico del tutto simile è già stato attuato in due altre città: Lijiang, nello Yunnan e Hunan, trasformate dalle autorità cinesi in moderne città turistiche. Dopo la ricostruzione, Lijiang è stata ribattezzata “Shangri-La” allo scopo di attrarre il maggior numero di turisti in un’operazione che Woeser definisce di “turismo coloniale”.
Nella lettera “La nostra Lhasa è sull’orlo della distruzione, salvate Lhasa!”indirizzata all’UNESCO e a tutte le maggiori organizzazioni mondiali a difesa dell’ambiente, Woeser chiede di fermare il disastroso progetto cinese e dalla minaccia senza precedenti che in questo momento grava sulla città. La traduzione in lingua inglese dell’appello al sito:
(Fonti: Phayul – Tibet Post)
FIRMA QUI L'APPELLO
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A sentire queste notizie mi piange il cuore. Sono stato a Lhasa 6 anni fa ed il Barkhor era l'unico quartiere dove ancora si respirava aria tibetana. Il Jokhang è il cuore del Buddismo tibetano ed è circondato dall'anello percorso incessantemente dai pellegrini tibetani, con tutte le bancarelle piene di oggetti più o meno utili, dove ho comprato un mulino di preghiere. Mi ricordo che il venditore mi ha regalato la rotellina di ricambio per quando mi si consumava quella in dotazione. Ai tibetani stanno togliendo la loro terra, la religione, le tradizioni, la vita che sono un patrimonio dell'umanità intera. E' una storia millenaria, un angolo del pianeta unico e irripetibile. E' ovvio che non è un problema di modernità; chi è stato a Lhasa sa benissimo che non ci sono problemi di traffico o parcheggio e che non è necessario costruire un centro commerciale nel cuore storico della città. So che niente e nessuno riuscirà a fermare il governo cinese dai loro intenti e questo mi riempie di tristezza.
Pubblico due foto scattate a Lhasa nel 2007.
Foto @Archetto, Tibet, 2007 (riproduzione vietata)
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giovedì 14 febbraio 2013
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